Ex Ilva, il mancato dissequestro fa slittare il riassetto societario

Ex Ilva, il mancato dissequestro fa slittare il riassetto societario

In base al contratto firmato a dicembre 2020 il dissequestro avrebbe permesso ad Acciaierie d'Italia di salire al 60% del capitale aziendale

 

La Procura di Taranto ha confermato il sequestro dell'intera area a caldo dello stabilimento siderurgico dell'ex Ilva; il provvedimento risale a 10 anni fa, quando l'allora gip Patrizia Todisco ne vietò anche la facoltà d'uso aziendale, nell'ambito dell'inchiesta "Ambiente svenduto".

Se i commissari di Ilva in Amministrazione Straordinaria non ravviserebbero più, allo stato attuale, le condizioni che portarono al sequestro degli impianti deciso nel 2012, la Procura di Taranto ha espresso parere negativo: si attende, pertanto, la sentenza della Corte d'Assise.

Anche se successivamente al provvedimento è stata concessa la facoltà d'uso dell'area a caldo, il mancato dissequestro procrastinerebbe di almeno un anno il riassetto societario di Acciaierie d'Italia. 

Nel contratto che risale alla fine di dicembre 2020, infatti, si prospettava per maggio 2022 un aumento delle quote capitale dello Stato dal 38 al 60%, di un versamento di ulteriori 680 milioni di euro (che si sarebbero aggiunti ai 400 milioni già versati nel 2021) e dell'acquisto dei rami aziendali di Ilva in amministrazione straordinaria, che attualmente sono gestiti in fitto da Acciaierie d'Italia.

Conditio sine qua non di questi passaggi era proprio il dissequestro dell'area a caldo dell'ex Ilva: al momento, quindi, si rende necessario riformulare le scadenze del contratto di dicembre 2020 e secondo alcune fonti si parla già di prendere ulteriormente tempo fino alla fine del 2023.